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future sound of london
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DEAD CITIES
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Virgin Records
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Non mi è mai capitato di amare un disco dei F.S.O.L. direttamente al primo ascolto. Così
è accaduto per "Lifeforms", all'inizio considerato
un "normale" disco di musica elettronica, poi diventato per me il
disco che illumina una strada; così per "ISDN", un
disco forse inferiore al precedente, ma con alcuni brani che rappresentano
tuttora alcuni dei miei hit personali (per completare, c'è anche
l'esordio, "Accelerator", una volta tanto un disco con al
suo interno un elevato numero di promesse poi mantenute). Questo nuovo
"Dead Cities" non poteva sottrarsi
al destino comune: come gli altri, il primo ascolto non entusiasma. Troppa
forse è stata l'attesa da parte mia di questo nuovo lavoro, troppa
la paura di perdere uno dei migliori gruppi "elettronici" a
disposizione, come accade (troppo) spesso alla distanza.
Ancora una volta, tuttavia, gli ascolti successivi trovano
un terreno più ricettivo, le tensioni si rilassano, i suoni trovano
i loro nomi, si cominciano a riconoscere i campioni, i ritmi sempre diversi
cominciano a trovare i primi riscontri, insomma il disco comincia a
piacere. A questo punto scatta la dipendenza; del pacco di dischi
nuovi o semi-nuovi vicini al lettore CD, salta fuori sempre il loro disco,
comunque sopra gli altri per ragioni spesso inconsce, e la pigrizia di
prendere una decisione impedisce una scelta diversa. Finisce sempre
così: per almeno un mese non faccio altro che ascoltarli,
sviscerare ogni singolo brano, cercare di fare completamente mia ogni
singola nota (e la cosa continua anche adesso mentre scrivo).
Non rimane a questo punto che cercare di analizzare razionalmente
ciò che la mia "intelligenza" emotiva ha già scelto
come migliore disco dell'anno. Tredici brani (ma i titoli sono di
più, ed anche le note di copertina...), settanta minuti di suoni,
campioni provenienti dalle solite disparate fonti (Ennio
Morricone da "C'era una volta in America",
Vangelis da "Blade Runner", Run
DMC, Ozric Tentacles; ma poi anche suoni
ambientali, urla di ragazze sconosciute, maiali sintetici, voci recitanti e
tutto ciò che riuscirete a riconoscere); non c'è solo questo.
L'edizione limitata pare (dico pare perché non l'ho in mano, sono
povero ed ho solo l'edizione normale) sia corredata da un booklet
letteralmente intriso di immagini, ma anche il booklet normale non fa che
ribadire l'estrema cura che i F.S.O.L. hanno per le
immagini. Tra il sintetico, l'elettronico disturbante e cibernetico, il
reale deformato o iperrealistico, ritorna la donna-bambina di
"Lifeforms", in ogni caso tutto passa attraverso
l'elettronica ed i computer, perfino la scrittura stessa che compare,
disegnata da un "mouse", sovrapposta a disturbanti immagini di solitudine
ed abbandono.
I FSOL sono dei grandi manipolatori di suoni, qualunque
sia la loro origine, naturale o artificiale. Il suono viene in primo luogo
ripulito, estraniato dal suo contesto, poi cesellato nei
minimi particolari, messo in una scatola e infiocchettato. Ma
sono gli stessi FSOL, ignari di averla appena confezionata, ad aprire la
scatola e, felici del contenuto, ci giocano ordinatamente per un po',
esplorandone tutte le possibilità sonore. Poi, l'abbandonano,
affascinati da una nuova scatola. Ciò accade molte volte
all'interno non solo del disco ma di uno stesso brano, tanto che
l'eventuale recupero di suoni o ritmi già noti appare sempre venato
di novità e freschezza (all'interno di un disco dei FSOL ci sono
idee per riempire almeno tre dischi della "concorrenza").
Tutte queste operazioni di natura strettamente "cerebrale" però non
avvengono a scapito della qualità emozionali della musica
(cosa che invece accade in molti altri produttori di musica "elettronica").
Se "Lifeforms" era un inno per celebrare la vita nei suoi multiformi
aspetti, "ISDN" l'impossibile tentativo riuscito di realizzare un concerto
del vivo per una musica che nasce, si sviluppa e muore necessariamente in
uno studio di registrazione, "Dead Cities" è un
esame approfondito sulla decadenza.
Città morte, oscurità, solitudine ed abbandono sono i temi
portanti di questo disco. Si comincia con alcuni tra i brani più
"dark" dei FSOL, con suoni cattivi e rabbiosi (chitarre
disturbate, direbbe qualcuno); poi il suono si allarga, si rilassa un
momento con "My Kingdom", forse il miglior brano del disco
(uscito anche su singolo). Ma poi le atmosfere si fanno ancora una volta
più pesanti e cattive, dure e spigolose. Non c'è mai
disperazione o depressione, mai pesantezza; niente spensieratezza, è
vero, ma non c'è chiusura alla speranza. L'argomento decadenza
viene musicalmente discusso con serenità, senza toni apocalittici,
una tranquilla riflessione sulla condizione attuale, senza paraocchi e
senza catastrofismi. Tutto sommato, una discussione equilibrata, da cui se
ne esce con la sensazione corroborante di essere arrivati ad una
conclusione positiva, pieni di entusiasmo per il futuro, ed per i suoni in
particolare, quelli provenienti dalla capitale britannica.
Suoni futuri da Londra, appunto. Il mio disco
dell'anno.
Livio (01-12-1996)
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Virgin Records
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Questo splendido nuovo album getta
retrospettivamente una luce illuminante sul monumentale ed incompreso
"Lifeforms" del 1994. Sgombriamo subito il campo da un
equivoco: i FSOL sono un gruppo davvero "a parte" nella scena
elettronica inglese.
Loro le tentazioni "techno" le hanno congedate con l'esordio (ormai
storico) "Accelerator", proiettando la loro rotta musicale
verso territori talmente avanzati da renderli incommensurabili a tutta quella scena da cui, dopo averne
tracciato i contorni, sono usciti (altri , come gli ORB,
ne stanno uscendo per "estinzione naturale", e non è la
stessa cosa).
FSOL (al secolo Gary Cobain e Brian
Doughans) sono davvero il "suono futuro" (anche se di
Londra suona un po' riduttivo), perchè questo "Dead Cities" rappresenta in maniera seminale tutto
quanto la musica elettronica potrà produrre nei prossimi anni, e al
tempo stesso, è una monumentale enciclopedia di
quanto la musica ha prodotto in passato.
Azzarderemo sostituire alla parola "riciclaggio" (per i suoni qui
ospitati di RUN DMC, OZRIC TENTACLES, MORRICONE, BLADERUNNER, più
vari "sconosciuti") quella di "ripensamento critico": il
campionamento è in questo bellissimo disco uno strumento
epistemologico, oltrechè un generatore di suoni.
"We have explosive"..., but do we know it?
Leonardo (28-02-1997)