storie di musica
INTERVISTA A BRUNO ROMANI
L'incontro con Bruno Romani, ora alla guida di una formazione di jazz
contemporaneo, il BRUNO ROMANI EVOLUTION TRIO avviene
quasi per caso, eppure è per noi una significativa coincidenza
riuscire ad incontrare uno degli ex componenti dei
DETONAZIONE, dal cui repertorio i LA CRUS
hanno preso la canzone "Dentro me" per inserirla nell'ottimo
secondo album, che porta peraltro lo stesso titolo. In un piccolo locale
di provicia abbiamo scoperto che Romani è rimasto quasi indifferente
di fronte a questa operazione musicale, proteso giustamente più
verso il suo percorso musicale successivo, tutto votato al jazz e con
sporadiche collaborazioni d'autore (con Alice e,
attualmente con i Devogue).
Ma ne è uscita comunque una importante testimonianza su quella parte
degli anni '80 costellata da infruttuosi ma importanti tentativi di
autoproduzione e di ricerca di un percorso omogeneo fra identità
musicale ed identità politica, che pare essere stato spazzato via
dalla scena musicale italiana dopo l'episodica apparizione delle Posse.
DM:
Che effetto ti ha fatto trovare il titolo di una tua canzone sulla coprtina
del disco di uno dei gruppi più importanti della attuale scena
musicale italiana?
Bruno Romani:
Non ho riflettuto molto su questo. Mi ha fatto certo piacere, e forse su
di un piano strettamente emotivo mi ha anche fatto sentire, ...vecchio.
Penso sia venuta anche abbastanza bene, ma mi hanno detto che in alcuni
locali emiliani, tipo centri sociali o giù di lì, propongono
la nostra versione originale.
In un intervista fatta ai LA CRUS sul perchè di
questa "riproposta", dichiaravano che sembrava loro importante tributare un
omaggio a quella stagione musicale che aveva, per così dire,
seminato segni importanti ripresi dall'attuale scena musicale. Ritieni
corretta questa valutazione, e in cosa pensi DETONAZIONE e
gli altri gruppi di quegli anni abbiano lasciato indizi creativi importanti
per i gruppi attuali?
In effetti non solo DETONAZIONE, ma tutti i gruppi di quegli anni hanno
"dissodato" il terreno. Penso che oggi i DETONAZIONE avrebbero un
contratto discografico, cosa all'epoca davvero improponibile, e così
è accaduto a LITFIBA e BISCA,
allora underground. Dal punto di vista creativo allora DETONAZIONE
potrebbero davvero avuto alcune intuizioni, anche se naif. Nel disco
"Ultimi pezzi", che raccoglie brani in studio e dal vivo, ci sono
soluzioni vicine alla tecno attuale, o in un brano composto per una rivista
anarchica c'è della vera e propria ritmica jungle. Allora non ci
ponevamo il problema di riconoscerci in "uno" stile, quanto di inventarne
uno che non esistesse, perchè penso che l'artista sia tale quando
inventa qualcosa che non c'è.
Cosa è cambiato secondo te in questi anni da permettere oggi
più facilmente ad un gruppo di arrivare a produrre un disco, e che
cosa ha spinto le case discografiche ad investire in questo tipo di musica?
Innanzitutto penso che per i gruppi dei primi anni '80 valeva ancora un
principio comune in Italia per tutti i '70, e cioè che ad una
determinata dichiarazione di "impegno" doveva corrispondere un detrminato
"comportamento". Gruppi come noi, o i FRANTI avevano un
determinato "codice", mentre oggi non è più così.
Questa nuova mentalità fà sì che i gruppi vengano
valutati per il numero di copie vendute e non per la qualità delle
idee musicali: da questo punto di vista CSI in testa alla
classifica ed AL BANO non sono diversi, commercialmente
parlando. Sarebbe al limite un bene se si trattasse di un "mercato delle
idee", ma siamo davanti ad un puro mercato delle "immagini".
Rispetto ai valori di cui tu parli, c'è ancora qualcosa di buono nei
'90?
Penso che , jazz a parte, ci sia stato qualcosa di buono nell'hip-hop
localizzato in alcune situazioni precise, come Roma con gli Assalti
Frontali, o la Puglia...
Eppure quello che rimane degli Assalti Frontali ora uscirà per una
major...
Non è questione di "major" o meno: i Public Enemy
incidono con una major ma non faranno mai un duetto con Michael Jackson,
mentre i Litfiba l'hanno fatto con Pavarotti... Il problema sta nella
"credibilità", che era un concetto molto importante per il nostro
gruppo. Nel rock che esprimevamo era basilare essere coerenti con il
"messaggio" che portavamo, cosa meno decisiva ora che suono jazz. Voglio
dire, Miles Davis era uno dei più grandi stronzi di questa terra, ma
non ha mai avuto la pretesa di insegnare niente a nessuno, e dunque puoi
considerarlo un grande musicista indipendentemente dal resto.
A cosa è dovuta la tua personale svolta musicale, e come si riflette
sulle tue personali considerazioni fra musica e credibilità?
Anche la musica che faccio ora, il jazz, ti mette a nudo, proprio
perchè anche il jazz ha le sue convenzioni per "nascondersi"
musicalmente. Inoltre non suono solo jazz, ma è comunque il suo
linguaggio in divenire ad essere importante per me. Poi c'è il
discorso sul possesso della prorpia personalità artistica: quello
che non voglio è tornare a lavorare con le agenzie musicali del
rock. Quando è uscito il disco dei LA CRUS ho anche ricevuto delle
offerte economiche significative per riformare il gruppo, ma alla fine ci
sono delle scelte di vita importanti da fare, e allora...
Tornando al jazz, abbiamo notato che nel trip-hop, nel drum'n'bass, e negli
altri generi che proponiamo c'è un utilizzo di ritorno delle forme
libere del jazz, delle sue ritmiche sincopate quando non di veri e propri
campionamenti... Come giudichi queste pratiche alla luce della tua
esperienza di jazzista "puro", per quanto abbia senso questa definizione?
Penso che tutta la cultura musicale di questo secolo sia permeato dal jazz,
anche se questo non viene riconosciuto. Il jazz dei '40 e '50 era il
rock'n'roll di oggi, i be-boppers erano i punk: Charlie Parker e Dizzie
Gillespie volevano "rompere"... Come recita il motto dell'ART ENSEMBLE OF
CHICAGO: "from ancient to the future", dal passato al futuro. Niente si
costruisce sul niente: il termine "funk" è stato utilizzato per la
prima volta per definire il jazz di HORACE SILVER, con elementi di gospel e
ritmi binari. Il jazz è la vera e propria "world music": ha fin
dall'inizio inserito elementi di musica indiana, africana, arricchirsi ed
arricchire senza snaturarsi. Dunque il mio giudizio sui nuovi generi
è positivo, con gli opportuni distinguo sulla qualità
più o meno buona di quello che viene pubblicato. Poi c'è un
altro discorso molto importante: lo status del jazz è ormai
equivalente a quello della musica classica; viene aiutata e "foraggiata"
dallo stato, ma così facendo sta perdendo la sua dimensione
"stradaiola", e rimane da vedere se queste contaminazioni con il trip-hop
sapranno riportarlo sulla "strada".
Vale ancora la definizione di musica come rivoluzione possibile, e non
credi che proprio nella maggiore possibilità economica che circonda
la produzione indipendente ci sia una maggiore possibilità
espressiva di un artista?
Nell'atto di creare musica penso che un artista debba trovarlo dentro di
sè un momento di "rivoluzione", per dare un senso di mutazione
permanente, di divenire in quello che compone. Ma la storia è fatta
dagli uomini, e la rivoluzione non è "dentro" la musica,
bensì nella musica si può anche "trovare" la rivoluzione.
Visti però certi esempi del nostro recente passato musicale,
sospetto sempre di chi vuole legare la propria musica ad un presunto
linguaggio rivoluzionario. Per quanto riguarda l'aspetto "tecnologico", io
sono distante: ci sono dischi della IMPULSE, registrati da RUDI VAN GHELDEN
nel salotto di casa con un registratore a due piste che hanno "creato" un
vero e proprio suono. Viene sempre prima l'uomo, e anche se è bene
che circoli più tecnologia a basso costo non vale l'equazione
"più tecnologia migliore musica", bensì quello più
intuitivo, "più idee, migliore musica".
Brian Eno sostiene che tramite le macchine abbiamo
assistito ad un processo di "de-verticalizzazione" della musica e del
processo artistico, perchè hanno ampliato il numero di possibili
musicisti, abbattendo alcuni steccati culturali...
Non amo particolarmente Brian Eno, nè condivido così
semplicisticamente questa affermazione. Non escludo che si possa arrivare
ad avere un rapporto esclusivamente "strumentale" con la musica, dal punto
di vista della semplice "creazione" dei suoni. Per me si tratta di un
rapporto più complesso con la "fisicità" del suonare, come
per chi fa' musica rinascimentale il campionatore risulta assolutamente
inutile, eppure questa musica rimane bellissima. La vera rivoluzione di
questo secolo è la macchina a vapore, e non il campionatore...
Vogliamo fare un piccolo ma essenziale flashback storico sulla musica e
l'epoca dei DETONAZIONE?
Il gruppo è nato muovendosi soprattutto nei centri sociali, anche se
proprio lì abbiamo dovuto assaggiare il "rifiuto della
diversità". Poichè non suonavamo hard-core, ma esploravamo
linguaggi non omogenei, abbiamo incontrato un vero e proprio ostracismo in
alcune situazioni, tipo LEONKAVALLO, dove non siamo mai riusciti a
suonare... All'epoca eravamo piuttosto vicini a BISCA e CCCP , suonando
molto in Emilia, in Toscana, ed anche nel Veneto, e una delle nostre
piazzeforti fu Napoli. All'estero ci siamo esibiti in Olanda, in Spagna
abbiamo partecipato alla prima Biennale di arti giovanili in Spagna, a
Barcellona, assieme a Litfiba, Bisca, Denovo, Dissidenten, ed è
stato bellissimo, Proprio allora è cominciato un rapporto stretto
con l'allora nascente etichetta fiorentina IRA records, che paradossalmente
ha segnato la fine della nostra avventura: ci furono pesanti intromissioni
artistiche, sulla scelta del cantante, e così l'originale progetto
di un album si è ridotto ad un e.p. con quattro pezzi. Poi la IRA
è passata sotto la POLYGRAM, che ha aggiunto ulteriori pressioni,
decisive per la fine del contratto, ma anche per lo scioglimento del
gruppo. Degli altri componenti, uno, Annalisa Scroccaro
è diventato mia moglie (ride), il fratello Gianni
possiede uno studio di registrazione di musica dance, il Jungle Sound,
mentre Max Nicoletti lavora sempre come turnista a dischi
commerciali.
Intervista a cura di
Loris e
Leonardo.