Cinema
LE ONDE DEL DESTINO
Diretto da Lars Von Trier

interpreti:
- Emily Watson
- Stellan Skersgard
- Katrin Cartlidge
- Jean-Marc Barr
- Adrian Rawlins
sceneggiatura: Lars Von Trier
fotografia: Robby Muller
Danimarca 1996
durata: 158'


E' stata invocata la recente conversione al cattolicesimo del regista per spiegare la complessa macchina simbolica che si cela dietro l'apparentemente lineare sceneggiatura (sempre di von Trier) di questo "BREAKING THE WAVES" (meglio conservare il titolo originale, per cancellare subito la ridicola ipoteca melò conferita dal titolo italiano...).
Elemento questo che complica e non semplifica il compito critico di districarsi fra macchina narratologica, costruzione scenografica ed ipoteca ideologica di Von Trier, perchè nulla in questo film appartiene all'ortodossia della fede (e nemmeno a quella tutta laica dello spettatore e delle sue attese di rigore logico e di costruzione formale).
Iconograficamente (e cominciamo da qui il nostro inabissamento) il film si ispira al modello retorico per eccellenza della letteratura religiosa, rifiutando però di essere in qualsiasi modo un film religioso: l'agiografia.
Troppo precipitosamente infatti si è voluto ricalcare la passione-morte-resurrezione di Bess (una eccellente Emily Watson) sul modello evangelico: ci si è arresi all'evidenza simbolica delle immagini (pensiamo all'ascesa di Bess verso la chiesa insultata e derisa dal gruppo di bambini, al dialogo domestico con il dottore messo in difficoltà dall'ingenuità di Bess, o al corpo avvolto nel sudario che scompare in mare) dimenticando che nella retorica agiografica le sequenze biografiche che portano il santo al martirio per la fede replicano la vita di Cristo, la incarnano spiritualmente, ma non vi coincidono mai.
Tutto è concepito ad "illustrare" (nel senso che la retorica cristiana concepiva) la vita della "santa". Che lo è in virtù della sua fede nell'assurdo (ed in ciò siamo teologicamente più vicini all'ipotesi protestante-esistenzialista): l'assurdo dell'amore orizzontale, quello degli uomini per gli uomini, non degli uomini per Dio.
Qui la presunta religiosità di Von Trier si immerge in una secolarità problematica, qui sta il carattere "scandaloso" della tesi: che l'Autore possa forzare le convenzioni della ragione (forse fin troppo icasticamente rappresentate dal Dottor Richardson e dall'amica infermiera Dodo) e quelle della religione (incapace di comprendere perchè schiava dell'impossibile amore "verticale" per la Parola e dunque lontana dall'amore "orizzontale") per affermare il proprio carattere di assolutezza e corporeità insieme (non è Amore come spirito poichè Bess desidera la carne di Jan, non è Amore come carne, percè Bess riscatterà il corpo morente di Jan).
Von Trier nasconde tutto sotto la categoria del Miracolo, che è il culmine storico di ogni vita dei santi che si rispetti, e che è destinato a spiazzare ulteriormente l'attesa dello spettatore (cosa che puntualmente avviene: la sala generalmente accoglie con cinica ilarità lo scampanìo finale...).
Il film in questo senso è iconograficamente perfetto: la scansione oleografica dei quadri fissi di Von Trier ci ricorda come ogni cronologia attendibile degli eventi venga a cadere, il tempo del Film è incommensurabile a quello della Storia, e quest'ultima è irriducibile all'epoca che lo ospita. Gli anni '70 sono messi in scena al solo scopo di fornire la cornice alla vita di Bess, proprio come lo sfondo dorato del medio evo estraeva il santo intatto dal tempo per collocarlo nell'eternità; solo che il personaggio di Bess mantiene il suo carattere di vitale terribilità grazie alla catarsi antipedagogica cui Von Trier la sotne.
Qui Bess tradisce l'iconografica da cui nasce, perchè ne rifiuta la finalizzazione edificante: mentre la vita dei santi doveva istradare altri all'amore di Dio, quello di Bess è autoreferenziale, è quell'unione di carnalità e rifiuto della storia che non è stato mai raccontato (e non sta a noi decidere se Von Trier l'abbia raccontato in modo migliore).
Potenzialmente, il debito autorale che Von Trier paga a se stesso (ai film cioé come "L'elemento del Crimine" che ritorna qui nella scelta coloristica e nel sovraccarico simbolico) contribuisce ad appesantire forse la capacità comunicativa dell'opera, come il gioco a lungo andare eccessivo, dei raccordi di scena volutamente evidenti, o della steadycam che insegue le persone (non i personaggi, perchè anche la figura di Jan, un sobrio Stellan Skarsgard, rimane volutamente stilizzata: essi rifluiscono in quella cornice cui accennavamo come appunto il tempo storico o la "folla" nel genere agiografico si ritira a pura "occasione" dell'agire del santo) e simbolicamente la allontana mettendole fuori fuoco (segnalando l'urgenza di Von Trier di entrare fisicamente nel film), ed infine la sgranatura delle immagini che marca emotivamente le situazioni (interni ed esterni: nel caso della chiesa anche il carico coloristico).

Tutto ciò può avvolgere a spirale (e lo fa) la potenzialmente infinita analisi critica del film, anche se ad ogni giro di spirale si ha la sensazione di allontanarsi dal cuore mercé il voluto depistaggio del regista: come se Von Trier costringesse (più ancora che nel barocco "L'elemento del crimine") a misurarsi con tutto il farraginoso armamentario dell'ermeneutica per poi essere costretti (come nel nostro caso) a deporlo. E a rimanere fastidiosamente prigionieri di questo amore così risolutamente orizzontale da costringere un Dio a nascere per sottrarlo al maltrattamento della meschina storia degli uomini.

Leonardo (16-11-1996)





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