Cinema
I RACCONTI DEL CUSCINO
Diretto da Peter Greenaway

interpreti:
- Vivian Wy
- Yo Shi Oida
- Ken Ogata
- Ewan McGregor
sceneggiatura: Peter Greenaway
fotografia: Sacha Vierny


E' probabile che intorno al concetto di scrittura (come pratica, atto in sè) graviti nella cultura occidentale una pesante ipoteca che la psicanalisi ha contribuito a ridefinire con crismi di astratta scientificità: che essa all'alba del ventesimo secolo abbia perso (o retrocesso) l'istanza "comunicativa" per assumere, di volta in volta, finalità "liberatorie" (ma non soteriologiche), "terapeutiche" (ma la scrittura come sintomo della nevrosi si è già ribaltata nella nevrosi della scrittura, sicchè veleno e rimedio non si possono più staccare), "esotiche" e quant'altro si addica all'insolubile eziologia dell'identità dell'uomo occidentale.
Per questo il complesso di fili epistemiologici che Greenaway intreccia nel suo nuovo film con la cultura orientale (cinese e giapponese in particolare) si incagliano nel consueto equivoco di fondo che si manifesta quando si voglia trasportare il tirocinio organico della "calligrafia" entro i confini, rispettabili ma diversi, della pratica occidentale della scrittura. Ci aveva provato con qualche risultato Roland Barthes a circoscrivere ricchezza ed ordine dei significati di una delle tante "vie" al conoscere orientali (come quella dell'arte del disporre o fiori, o del tiro con l'arco - citato anche nel film) nel suo impero dei segni: che rimane comunque un testo intriso di "estetismo" tutto occidentale.
Mai però come questo "Pillow Book" che sotto l'apparente novità dell'ambientazione (un Giappone ed una Honk Kong schizzate precipitosamente come fondali di scena, a tradire una volta di più la dipendenza di Greenaway dal teatro) ci ripropone con ben più di una strizzata d'occhio i temi cari al regista inglese: l'erotismo autofagico che sottende ai rapporti umani (e si diverte, a scapito della nostra noia, a citare il carattere alimentare e letterario degli amplessi di "The Cook, The Thief, His Wife and Her Lover" nelle scene d'amore tra Vivian Wy e Ewan McGregor), la dialettica fra caos della conoscenza e tassonomia degli eventi (e i libri del "Prospero's Book" diventano i corpi "calligrafati" che la protagonista invia all'editore nella speranza di recuperare i resti dell'amante divenuto a sua volta libro - ed anche qui Greenaway rifilma se stesso) e gli ormai un po' usurati rimandi metaforici al potere e all'autoritarismo (l'editore che sodomizza l'autore ogni volta che ne decide la pubblicazione).
The Pillow Book è -perfino nell'intreccio!- una copia di "The Cook..." e questo, francamente, risulta irritante: per l'occasione naufragata di scavare con le raffinate lenti di quest'inglese ormai un po' troppo monumento a se stesso nella fascinosa corporeità della scrittura orientale (e ci avrebbe intrigato ce Greenaway traducesse questo medium sullo schermo con una metafora diversa da quella semplicisticamente voyeuristica del "corpo", magari tentando di "filmare" come se "scrivesse" su carta) del cui significato "iniziatico" non ci restituisce nulla (se non una banale idea di iniziazione sessuale).
Una ultima nota negativa riguarda l'utilizzo delle edicole elettroniche, già sperimentata da Grennaway in Prospero's Book e riprese (con grandi risultati) in mediometraggi sperimentali: ciò che affascinava con gli elementi della cultura occidentale (volti, elementi grafici, luoghi) non si traduce così efficacemente in quella orientale, proprio perchè questo escamotage visivo di raffinata nevrosi epistemologica non ha significato alcuno in un mondo affrancato da questi paradigmi. Ma per evitare questo pasticcio bastava rivedersi "Tokyo-Ga"...

Leonardo (02-12-1996)





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