Cinema
TWIN TOWN
di Kevin Allen



La produzione di Danny Boyle avrebbe potuto rendere un inferno la serata dell'incauto spettatore che, fidandosi della sua firma come di un marchio di fabbrica, si sarebbe infilato nel buio della sala pregustando un paio d'ore di ironici quadretti di sottoproletariato inglese, con la solita spruzzata di compiaciuta autocoscienza sociologica e un paio di grasse risate sulle disgrazie altrui.


Ma dopo una mezzora nella quale prendono posto tutti i personaggi della "galleria", il film subusce uno scarto che ne costituisce la migliore cifra stilistica: al diavolo la riconciliazione delle miserie inglesi di oggi alla solita ora al solito pub, meglio condurre fino alle (squisitamente tragiche) estreme conseguenze ciò che alligna come un seme marcescente nella grottesca Swansea, Galles. Dove non c'è pietà ma neanche accanimento (e dunque non compaiono esigenze di mascheramento estetico nella regia, impersonale ed efficace fino al perdonabile cedimento della scena finale del funerale in mare di Fatty) nei confronti dei personaggi, molto più misurati che in altre pellicole affini (si veda la mano più pesante di Danny Boyle per i suoi attori in "TRAINSPOTTING"): Allen lascia che a definire il "grottesco" di questo film nerissimo (ecco, se proprio gli si vuol trovare un ascendente, "PICCOLI OMICIDI TRA AMICI" è il suo parente più prossimo) siano le motivazioni sociali ed economiche dei personaggi ad agire, la avidità capace di travolgere i rapporti interpersonali più stretti (tutta la sfera dei sentimenti è in questo film mediata dal denaro, e la risibilità di questo prezzo ne è la distruzione più evidente) e l'assenza di una qualsiasi concetto di comunità (l'unico legame legame storico accettato è il rugby, l'unico legame sociale possibile il karaoke) entro questa cerchia di individui condannati a sbranarsi l'uno con l'altro.


Per questo Allen sceglie di connotare di una cifra psicologica incommensurabile gli unici "superstiti" di questa "twin town" :i gemelli Lewis (e ci si potrebbe chiedere se la gemellarità non sia categoria fortemente voluta da Allen per il suo portato simbolico-antropologico di "marginalità", "alterità", "diversità") appaiono "innocenti" nel loro ludico sniffare colla da modellismo o provare il brivido della velocità su auto rubate, rispetto alla "normalità colpevole" dei poliziotti spacciatori o del mecenate del rugby trafficante mafioso e il loro agire contro la proprietà altrui (a differenza dei loro antagonisti) non ha alcun connotato riflessivo, come se Allen ci lasciasse immaginare che l'unica strategia possibile contro "l'insostenibile accumulo dell'essere" sia quella dell'energia dissipativa, il cui portato distruttivo nei confronti della maleodorante ricchezza della up class costituisca il prodromo necessario alla ricostruzione dell'uomo come "essere sentimentale".

Leonardo (04-05-97)





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