Le "svolte" musicali, nell'ormai confortevole sottosuolo
semi-indipendente italiano, non si contano più. Anzi, è il
caso di dire che si è spezzata definitivamente quella linea di
continuità di certo indie-rock italiano impaludato in soluzioni
produttive circolari e coattive che facevano (fanno?...) del nostro paese
una sorta di Budapest musicale dei "telefoni bianchi", in cui
l'ascoltatore ritrovava con placida rassegnazione i consueti flirt
voce-chitarra-basso-batteria-urla-alienazione.
I segni del cambiamento sono cominciati con gruppi come
Almamegretta e La Crus (curiosamente
doloroso come delle "posse" non si possa parlare di eredità
musicale, nevvero?) e poi via via i "nuovi suoni" (sia pure in ritardo)
sono arrivati all'orecchio di Casino Royale, Blindosbarra,
Ustmamò ed infine, ai rinnovati AFA.
Che hanno smesso l'abito posticcio del Folk (ed anche qui
si può parlare di moderata "cantonata" della critica
musicale italiana per una stagione ancora più effimera di
quella delle posse), hanno limato il nome, hanno rifondato i suoni e si
sono lanciati senza rete lungo il precipizio di testi ambiziosi (li firma
Fabrizio Tavernelli, e noi abbiamo deciso di
offrirvi nella sezione Storie il
percorso personale ed esperienziale da lui vissuto per arrivare all'album).
Il risultato complessivo è incoraggiante: il lavoro produttivo di
Fabio Ferraboschi intorno ai suoni campionati degli
AFA ne fa tranquillamente un prodotto
d'esportazione (e magari qualcuno potrebbe pensare a fare un lavoro di
rimissaggio per un assoluto capolavoro come "Fossili"...) e,
soprattutto, gli AFA mostrano un equilibrio straordinario
nel non "abusare" degli ormai piuttosto inflazionati paradigmi del trip-hop
e dell'elettronica. Già, perché il problema è che la
massiccia iniezione di suoni "intelligenti" ha avuto in qualche
caso l'effetto di appiattire l'originalità stilistica del
gruppo ad una impronta già sentita da altri (come "La
Memoria" dei Blindosbarra che suona come
Casino Royale, perché tutti e due hanno scelto la
produzione di Ben Young...).
Insomma il rischio è che i suoni prevalgano sulle
canzoni, e a questo rischio AFA si sottraggono
senza troppe ferite ("Via satellite" gira come un pezzo dei
Casino Royale...) e con parecchi punti a favore: in
assoluto si impongono "Nomade Psichico" (con un testo molto in
sintonia con la linea delFerretti-pensiero), la già
citata "Fossili" (dove avremmo ben visto a sottolineare l'essenza
"femminea" del pezzo la presenza di Mara degli
Ustmamò), "Iceberg", "Provincia
Exotica" e la resistentissima "Mondauso". C'è anche
del superfluo: "Silenzio infinito" scorre senza nerbo (musicale e
testuale) e la quanto meno discutibile "Shoko Asahara" che, e qui
si entra nella personalissima sfera delle convinzioni culturali, spreca gli
ottimi atout sonori in un affastellamento di luoghi comuni sul
moderno Sol Levante.
E' quest'ultima canzone, dove ci sembra che il senso della scrittura
musicale di Tavernelli si perda in uno sterile
blob di riferimenti alla modernità, a darci la misura delle
possibili contraddizioni di chi vuole arrivare a forzare i confini
dell'immaginario musicale: che adoperi la fama dei neologismi generazionali
come si indossa l'ultima linea di "sneakers" o ci si accalca nelle
sale per non mancare l'ultimo grandguignol post-tarantiniano. Qui, forse,
c'è ancora bisogno che Giovanni Lindo Ferretti dia
qualche ora di ripetizione ai suoi "ragazzi".