storie di musica
INTERVISTA AI MILITIA
Sono stati loro i primi ad essere consapevoli della complessità di
un lavoro come "Elvengamello". I
primi a comprendere che il risultato esaltante di un progetto così
ambizioso e multiverso non poteva accontentarsi della definizione di
"disco", e così hanno impresso nel booklet la definizione/chiave di
"soundtrack for spoken word", ossimoro soltanto apparente e niente affatto
pretenzioso.
I MILITIA, perchè di loro
stiamo parlando, si sono misurati felicemente dopo un silenzio di quasi
sette anni da "Dunarobba" con un tentativo di definizione
culturale/musicale forte, quello di identità "locale" e di
"permeabilità" esterna di tale identità ad un tempo, alla
luce dei nuovi suoni dell'elettronica "evoluta" (con la quale si erano
misurati fin dagli esordi). Del disco abbiamo voluto fortemente parlare
con loro (un'altra scheda
è ospitata fra le recensioni di DM), e ci siamo riusciti grazie alla
disponibilità dell'etichetta Materiali Sonori e di
Fabrizio Croce, nostro interlocutore
a nome del resto del gruppo.
DM:
Puoi tracciare un breve profilo storico della vostra formazione, che
appartiene alla "tradizione", se ci passi il termine, dell'underground
italiano?
Fabrizio Croce:
Io, Giovanni Romualdi e Dario Bavicchi
costituiamo il nucleo storico dei Militia, suonando insieme da ormai
diciotto anni. Negli ultimi cinque o sei anni però la nostra
formazione ha assunto le caratteristiche del "collettivo aperto", e in
questo periodo sono altri due i musicisti che ci aiutano a dar forma ad uno
spettacolo dal vivo. Ci piace comunque ripercorrere le tappe necessarie
della nostra formazione: dopo sette/otto anni di gavetta abbiamo avuto la
possibilità di confrontarci e collaborare con musicisti importanti
come Chris Currer degli Amon Duul II, o
Blaine Reininger, e nel primo caso si trattò per un
periodo di una vera e propria integrazione nel gruppo, con una
minitournè in giro per l'Italia e la nascita di un importante
rapporto di amicizia. Arrivammo a collaborare con Reininger e Currer dopo
una lunga gavetta che ci confinò nel cosiddetto filone post-punk e
dark, e fu decisivo per trovare la nostra vera dimensione musicale. Credo
che un po' tutti i gruppi italiani dovevano scontare la mancanza di una
vera e propria cultura musicale, o un'identità "forte" cui far
riferimento; noi l'abbiamo trovata andando anche a suonare all'estero, in
Germania e in Olanda, incontrando diversi tipi di pubblico, ma anche un
diverso approccio al concetto di "organizzazione" di un evento musicale.
Quando nascono i Militia e perchè questo nome, diciamo così,
"ambiguo"?
La denominazione che ci accompagna risale al 1982, ma suoniamo assieme fin
dal 1979. Quanto al nome, non c'è nessuna voluta
"ambiguità". All'epoca volevamo un nome che non fosse o suonasse
"inglese" e poichè provenivamo da studi classici abbiamo scelto
"Militia". Spesso ci hanno chiesto perchè non mutassimo nome, visti
gli interrogativi che ogni tanto suscitava e suscita, ma ritengo che il
nome faccia parte del patrimonio di crescita di un gruppo, specialmente
dopo che questo si è ritagliato un proprio spazio all'interno di una
certa scena musicale, e perciò abbiamo deciso di mantenerlo.
E' passato un lasso di tempo piuttosto lungo fra la pubblicazione di
"Dunarobba" e il nuovo "Elvengamello". Cosa è accaduto nel
frattempo?
E' un po' buffo parlarne, visto che accade spesso che grandi gruppi, e cito
i Pink Floyd, lavorassero per così dire, a cicli "settennali".
Naturlamente per noi il discorso è più legato al problema del
progettare ed organizzare la propria attività di musicisti in ambito
underground. Abbiamo promosso per circa due anni il disco "Dunarobba" e
poi abbiamo cominciato a lavorare a nuovi progetti, tutto questo dovendo
conciliare il nostro lavoro vero e proprio, visto che suonare rimane
comunque una specie di hobby. Infine, anche fra il primo disco,
"Folk 2", e "Dunarobba", passarono circa cinque anni,
nonostante le richieste delle nostre case discografiche, e questo
perchè corrisponde alla nostra filosofia di lavoro, lasciare il
giusto tempo di maturazione al proprio lavoro come musicisti.
Quando avete cominciato a lavorare a "Elvengamello"?
Intorno al 1994, coincidendo quell'anno l'uscita di un nostro pezzo sulla
compilazione che Materiali Sonori aveva pubblicato per
Zappa, dove provammo alcune soluzioni sperimentali
sviluppate per l'album, compresa la collaborazione con una cantante lirica,
Paola Chirullo, che appare nel disco in un paio di brani,
e dove si è approfondito il nostro rapporto con la tecnologia in
fase compositiva, che pure ci accompagna fin dall'inizio. Penso che il
problema nostro e più generale fosse, ed è, quello di rendere
equilibrato il contributo della tecnologia al musicista. Nel nostro caso,
il tempo è servito anche a raggiungere un armonia fra suoni
sintetici e strumenti suonati.
Probabilmente un certo tempo l'ha portato via anche la necessità di
amalgamare la molteplicità di contributi diversi dei personaggi
"ospiti" del disco, e il ponderoso lavoro, quasi filologico, intorno ai
testi scelti. Ma come è nata l'idea di fare della vostra regione,
l'Umbria il "core" di questo progetto, ed è
corretto ritenere che l'immagine storico-culturale che ne esce sia
più ampia, dilatata, come a volere dimostrare che cercando le
traccie dei propri confini culturali, storici e sociali, si trovano
immancabilmente dei "valichi" sull'altrove?
La sostanza del progetto ha assunto forma nel lavoro al progetto stesso.
Ha avuto come spunto iniziale l'idea di un amico giornalista, che in un
articolo uscito per un giornale locale metteva in evidenza come esistesse
un continuità storica fra alcuni celebri personaggi del passato
provenienti da molte parti del mondo e che avevano avuto in vari modi a che
fare con l'Umbria, con alcuni personaggi altrettanto celebri del presente
che avevano fatto lo stesso. E l'ulteriore denominatore comune era che
tutti avevano lasciato una testimoninanza documentale di questo passaggio e
delle suggestioni suscitate. Questa ricerca mi ha portato a scoprire una
serie di testi per nulla noti perfino agli studiosi della nostra
comunità locale, è stato anche un gioco andare a scoprire
queste "presenze" e tutti i partecipanti alla ricerca si sono dati da fare
senza reticenza alcuna in quest'opera di riscoperta.
E' stato difficile coordinare il lavoro con personaggi noti e diversi fra
loro come Leroy, Angese, Avati...
Più facile di quel che pensassi... In realtà, tranne alcuni
casi in cui sono ricorso alle agenzie che rappresentano gli artisti
coinvolti, sono stati loro stessi a proporsi personalmente e senza filtri,
creando così anche un rapporto sul livello personale.
Nel numero notevole di presenze celebri, spiccano anche storie minori ma
non meno interessanti. Ci ha colpito il cenno biografico che riguarda
l'interprete di uno dei brani più belli, "Su Santidad",
Gloria Martinez, il fatto che ha contribuito dal carcere
ad un testo che chiede clemenza per i cittadini di Perugia, creando una
specie di cortocircuito storico intorno all'idea di libertà...
Effettivamente noi stessi ci siamo resi conto di questa ulteriore valenza
emotiva dopo la realizzazione del brano,che tratta di una pagina di storia
abbastanza tragica. Cercavamo una persona di madrelingua spagnola e mi
sono ricordato che nel carcere femminile di Perugia si facevano esperienze
di teatro e recitazione, come accade da qualche anno in altri carceri in
Italia. Tramite l'associazione Ora d'Aria che si occupa
dei rapporti con chi vive in carcere, siamo venuti in contatto con Gloria
che ha rivelato una disponibilità tale e si è talmente calata
nel ruolo che tutti in quei giorni la prendevano in giro nel carcere
perchè aveva imparato la parte a memoria per cercare una sua
interpretazione.
Parliamo ora della dimensione strettamente musicale del disco...
Dopo quindici anni di tentativi di canzoni in italiano ci siamo resi conto
di non uscire alle forme "classiche", e volevamo dare una funzione nuova
alla voce. Ci ha intrigato partire dalla forma dello "spoken word" per
ricavare qualcosa di diverso: anche qui abbiamo fatto parecchie ricerche
nell'ambito ed abbiamo concluso che la musica è quasi sempre solo
uno sfondo al fluire delle parole. Nelle nostre intenzioni era fare della
voce uno strumento musicale, innalzarla alla pari dei suoni.
Eppure canzoni come "Vorrei morire" o "Il male e il
peggio" funzionano quasi come una perfetta struttura
strofa/ritornello...
In effetto "Vorrei morire" è proprio il testo di una canzone
contadina umbra dell'ottocento, e Salvatore Sciarrino, che
la interpreta rimase molto colpito dal fatto che di queste canzoni erano
state tramandate solo le parole e non la musica che le accompagnava, forse
perchè non si pensava che avrebbero potuto suscitare nessun
interesse dopo molti anni...
Molti dei testi storici che proponete peraltro sono stati tradotti nelle
lingue madri degli interpreti stranieri, quasi a voler "forzare" una volta
di più i limiti geografici dei luoghi che li hanno visti nascere...
Anche questo era uno degli obiettivi che ci prefiggevamo: non limitarsi ad
una resa "localistica" dei testi, ma dargli un respiro più ampio,
cosmopolita, proprio come l'aria culturale che secondo noi si respira in
Umbria.
Volendo immaginare un referente musicale più prossimo al vostro
lavoro, il pensiero va spontaneamente all'opera di ricerca
linguistico-musicale di Hector Zazou, ed in particolare ad
un lavoro come "Sahara Blue". Sei d'accordo?
Devo dire che il riferimento è centrato, e lo è naturalmente
sul piano concettuale. Sulla parte musicale influisce il fatto che faccio
anche il DJ, e naturalmente assimilo mentalmente tutto quello che propongo
al pubblico, anche se in maniera del tutto libera, anzi, mi considero una
sorta di anti-DJ rispetto alla moda corrente. Ma tutti i componenti del
gruppo sono aperti agli ascolti musicali più diversi, e nella
creazione dei suoni abbiamo voluto soprattutto di fornire una sorta di
"ambientazione sonora" per i testi.
Il vostro disco è il primo lavoro uscito per Materiali
Sonori che avrà una specie di gemello completamente
remixato. Come mai?
Abbiamo spinto molto per venisse fatta questa operazione. Grazie anche
alla mia attività di DJ, ho conosciuto alcuni esponenti di spicco
sia a livello nazionale che internazionale, come Transglobal
Underground con i quali ho anche un buon rapporto a livello
personale e che hanno remixato sul 12" uno dei pezzi. Ma al lavoro
prendono parte anche David Shea, DJ di New York, un gruppo
inglese come O'Yuki Coniugate, i bolognesi
Govinda, DJ Love Kalo', un DJ considerato
fra i più bravi in Italia che si chiama Ralph e che
proviene dall'house... Poi c'è il sound system del Maffia di
Reggio Emilia e gli stessi Militia sotto lo pseudonimo di
Grifo Kings...
Infine rimane la curiosità di sapere come funziona questo lavoro dal
vivo...
Stiamo allestendo due tipi di spettacolo: uno, simile ad un readings di
poesia, è più simile alla performance teatrale, nel quale
saranno presenti alcuni degli ospiti e che avrà una portata
più ridotta nello spazio e nel tempo, visto che si dovrà
adeguare alle esigenze e alle necessità di persone che spesso vivono
all'estero e sono in Umbria solo per limitate porzioni dell'anno. Un altra
soluzione, legata allo sviluppo del progetto Grifo Kings, prevede la
costruzione di un sound system viaggiante che renderà i contenuti
dell'album sviluppandone l'aspetto ritmico, con l'aggiunta di un violinista
e di un DJ che faranno da trait d'union fra le parti del concerto, e che
dilateranno i tempi del concerto fino ad occupare l'intera serata.
Intervista a cura di
Loris e
Leonardo.